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RUMORI FUORI SCENA > Recensioni > “E poi c’è Katherine”: il Diavolo veste H&M

“E poi c’è Katherine”: il Diavolo veste H&M

Emanuele CasonEmanuele Cason23 settembre 2019
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Tempo di Lettura: 4 minuti
Prendete un po’ di “Sognando Beckham”, aggiungete un pizzico di “Una donna in carriera” e condite tutto con “Il diavolo veste Prada”.
Avrete così una ricetta difficile da sbagliare: una storia di rivalsa femminile con i toni della commedia e brave attrici (e attori) al suo servizio.

Con le dovute proporzioni rispetto ai tre blockbuster citati sopra, sto parlando di “E poi c’è Katerine” uscito nelle sale i giorni scorsi.

 

Il film prodotto dalla Sony e diretto dalla regista Nisha Ganatra (già all’opera in Trasparent e Better things) è la classica commedia americana che copre un segmento che ultimamente ha sempre meno titoli, se si escludono quelli teen e demenziali.
Solo per questo motivo ciò che mai avrei pensato di recensire può meritare una breve analisi.
Il film, che combina temi come la parità di genere, i workaholic e il cinico mondo della tv, si basa sulla storia di una nota ancorwoman di origine inglese, Katherine Newbury, in crisi di ascolti ma che, accusata di odiare le donne, assume Molly Patel come unica femmina in un gruppo di autori maschi.
Molly, neofita del lavoro autoriale e proveniente da una fabbrica, dove intratteneva i colleghi, o meglio da una industria chimica come tiene sempre a precisare, aiuta Katerine in tutti i modi anche per dimostrare a tutti che non è stata assunta solo in quanto donna.
Le idee per rivitalizzare lo show della giovane autrice sono in nome della diversità e impattano in modo decisivo sul destino di Katherine sia come presentatrice che come donna … ma fermiamoci qui.

La commedia, ispirata ai talk show americani di tarda serata (spesso apannaggio di comici uomini) è molto ben interpretata da una cinica Emma Thompson e da una frizzantissima e dolce Mindy Kaling, attrice di origine indiana.

La Kaling è anche autrice della sceneggiatura e lo ha potuto fare in quanto prima donna non bianca a ricoprire il ruolo di autrice e sceneggiatrice della serie tv di successo The Office e soprattutto del programma serale che porta il suo nome, The Mindy Project.
Così, raccogliendo le sue esperienze e i momenti salienti della sua breve ma lanciata carriera, racconta in questa sceneggiatura il dietro le quinte del mondo della tv americana in diretta.
La Kaling parla quindi per esperienza anche perchè è stata lei stessa stagista in un vero late night show, quello di Conan O’Brien, dove ha capito come le donne sono rare eccezioni.
La Thompson e la Kaling si dividono la scena in un mondo fatto di selezione ed angherie dove a farne le spese sono anche i maschi interpretati da un buon gruppo di attori.
E di discriminazioni varie parla il film che risulta vedibile solo se non si fanno paragoni.
Impossibile infatti il parallelo con “Il diavolo veste Prada” (nonostante la campagna a sostegno del film lo definisca la versione #metoo di quella pellicola).
Emma Thompson è brava ma lontana dal carisma e dai continui cambi di umore di una Meryl Streep-Miranda inarrivabile. La Kaling è buffa e simpatica ma non riesce, come fece Anne Hathaway nel 2006, a raccontare tutte le variabili umane e professionali della scalata al successo.
Anche a livello di sceneggiatura la commedia, pur discretamente scritta, non decolla mai (sembra che debba sempre arrivare qualcosa che non arriva) ed è un peccato che il racconto dei meccanismi del dietro le quinte degli show e della comicità siano solo sfiorati.
Il format commedia quindi dimostra ancora una volta il suo stato di difficoltà sul suolo americano, che ha visto capolavori dagli anni ’50 alla fine degli anni ’90 e molto meno di recente.
E’ una crisi sicuramente di autori e di scrittura, con un certo grado di superficialità e “velocità” di racconto che la fanno ormai da padrone negli anni “facili” di internet.
E non certo per colpa della televisione, come dicono alcuni, che sempre più spesso sta superando il cinema in termini di qualità.
“E poi c’è Katerine” non fa purtroppo differenza: è una commedia che non va a fondo e per questo non convince ed è un’opportunità persa. Un film che si potrà comodamente vedere in televisione, seduti in poltrona, fra qualche mese.
“E poi c’è Katherine”: il Diavolo veste H&M
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Emanuele Cason
Pubblicitario per professione e abbonato “da sempre in prima fila” alla poltrona per cinema e TV. Da 40 anni divora ogni cosa di celluloide e ha eletto Lost come serie della vita. Parafrasando Parenthood: per lui quando si spegne la luce in sala o a casa “Tutto può succedere!”

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